Monarch – Sabbath Noir (Heathen Skulls, 2010)

Fra le cose migliori del cospicuo bottino di dischi che il boss ha portata dall’Australia c’è questo vinile dei francesi Monarch in tiratura limitata e splendida copertina laminata. Loro, forse li conoscerete, sono i lenti portabandiera del drone/doom più sporco e anche in questa occasione non si smentiscono, trascinandoci in mezz’ora di buio completo. Sabbath Noir, un unico lungo brano spezzato fra le due facciate del vinile, non sembra, di primo acchito, presentare alcunché di innovativo rispetto a quello che il gruppo ha espresso in precedenza, evolvendo oltre il limite del sopportabile le intuizioni dei Khanate: feedback chitarristici contenuti a stento, battiti discontinui e mai oltre i 40 bpm, con le corde vocali di Emily Bresson che si scarnificano in secondo piano. Eppure, anche se con la modalità di infinita lentezza che li contraddistingue, qualcosa impercettibilmente sta mutando: dopo che sul primo lato si inscena per quasi un quarto d’ora una canzone che si rifiuta di iniziare, fra rullate che cadono nel nulla e suoni spettrali, la seconda parte ci propone una possibile versione a zero giri dei Neurosis, cooptando i crescendo chitarristici che hanno resto celebre il gruppo di Oakland e riproducendoli con tale lentezza e mancanza di dinamica da mutare l’originale senso del sublime in angoscia. È un suono così intimamente pesante e melmoso che non necessita nemmeno di troppa distorsione per trasmettere le sensazioni volute, mentre la voce ancora si agita sullo sfondo, persa fra coltri nebbiose. Musica lentissima, che procede per micro variazioni, eppur si muove; non per tutti, ma se vorrete calarvi nello spirito ne sarete soddisfatti.