Merzbow/Gustafsson/Pandi – Cuts (Rare Noise, 2012)

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Masami Akita, nell’ambito del noise massimalista di cui è maestro, ha probabilmente e da tempo già detto tutto e per quanto l’ascoltarlo resti un’esperienza piuttosto appagante, più interessanti ci appaiono le situazioni in cui il nostro varia la formula, come nella recente serie Japanese Birds dove si cimentava anche con la batteria, o quando si associa ad altri musicisti, come nel caso del disco in questione. Compagni d’avventura sono due star dell’improvvisazione europea: al sax baritono, clarinetto ed elettronica, lo svedese Mats Gustafsson, che credo non abbia bisogno di presentazioni, alla batteria Balazs Pandi, che già aveva collaborato dal vivo con Merzbow e che, da queste parti, abbiamo potuto fugacemente vedere in qualche uscita degli Zu post Jacopo Battaglia.
Il risultato di questa unione è meno sconvolgente di quello che ci si potrebbe aspettare: che si parli di noise, di jazz di confine o di rock, il free è per i tre un terreno comune, su cui si trovano ed incrociano gli strumenti come se si conoscessero da sempre. Così, all’infaticabile batterista spetta il compito di fornire le scansioni ritmiche, di velocità variabile ma abbastanza regolari, su cui lo svedese e il giapponese si affrontano con le rispettive armi. La partenza, a onor del vero, non è delle più memorabili: in Evil Knives. Lines. il sax è quasi completamente fagocitato dall’elettronica e gli inserti clarinetto incidono poco, dando vita a un noise con percussioni, compatto ma poco fantasioso, che si fa ricordare più che altro per il gran lavoro svolto da Pandi. Il pesantissimo mid-tempo di Deep Lines. Cuts. segue lo stesso copione, solo con Gustafsson che si ritaglia qualche spazio in più quando il noise cala d’intensità, mentre l’album svolta con la tensione splendidamente orchestrata di The Fear Too. Invisible.: un’infinita rullata di batteria si impone a fatica sul rumore e introduce un sax finalmente libero di agire e squarciare il tessuto di frequenze basse che fino a questo punto era stato predominante. Da qui in poi i tre dispiegheranno al meglio i loro strumenti e sarà un crescendo, con gli oltre venti minuti di Like Razor Blades In The Dark e la conclusiva Like Me. Like You., dove le sofferte melodie di Gustafsson convivono col cinico rumorismo di Merzbow, che in un paio di occasioni si ritrae addirittura sullo sfondo lasciando campo libero ai fiati. Non so se per un’opera del genere si possa parlare di chiusura in bellezza, ma è certamente il finale grandioso di un album da ascoltare con sofferenza e fede nell’effetto catartico che, un simile tour de force per le orecchie e i visceri, non potrà non avere.