Mamuthones – Sator (Boring Machines, 2010)

Con colpevole ritardo mi appresto a recensire quest’ultima uscita Boring Machines, trattasi di uscita stampata con copertina digipack in rilievo, molto curata come d’altra parte la maggioranza delle uscite della label veneta. Gastaldello ovvero Mamuthones, non è neint’altri che uno dei Jennifer Gentle, anche se in questo caso si addentra in campi molto diversi da quelli del gruppo di origine, sebbene il sostrato psichedelico sia comune a entrambi i progetti. Si tratta di un disco psichedelico a suo modo vintage, per quanto la materia sia pur sempre sperimentale, siamo molto più vicini ai Popol Vuh, ai Can o ai Faust invece che a roba americana o inglese recente.
Se quest’ultima qualità da un certo punto di vista è un pregio, può risultare una specie di arma a doppio taglio poichè per altri versi lo rende sì più identificabile e quindi più fruibile, ma anche un po’ più scontato per ciò che concerne le soluzioni. Sono sicuro che i freakkettoni vintage in mezzo a voi lo apprezzeranno senza indugi, quindi è stra-consigliato a chi questa roba piace soprattutto se fatta con quel taglio retrò che fa crescere immediatamente il pantalone a zampa. Se per i primi episodi si vaga un po’ nel buio a metà del disco iniziano ad arrivare le prime aperture melodiche ed anche le parti più ficcanti di questo cd (Kash-O-Kashak e Carrying The Fire ad esempio). Sator è molto ben congegnato, tant’è che viene da ascoltarlo come un continuum e non come una serie di episodi slegati e privi di connessione, pur trattandosi di tracce molto eterogenee. In era di musica ipnagogica e di dischi a base di synth che vengono spacciati per “i dischi del momento” pur suonando la versione più brutta e meglio registrata degli scarti degli scarti di quel magma creativo che è stata l’era post-prog-post-kraut-pre-ambient, il disco di Gastaldello ha una sua dignità molto forte e gode di momenti molto ispirati. Si tratta esattamente di un “bel viaggio”, come avrebbe detto qualcuno qualche tempo fa, un disco molto ben riassumibile nella solita vecchia massima di Sun Ra secondo cui “space is the place”.