Kajkyt – II (God, 2013)

Se non sbaglio è la prima volta che, su queste pagine, incontriamo Slobodan Kajkut in carne e ossa, dopo aver ascoltato vari artisti alle prese coi remix della sua creatura Kaikyt in Krst Remixes e le sue composizioni interpretate da altri nel dimenticabile Maggot/Heifetz plays Slobodan Kajkut. Ora è la volta del secondo disco dei Kajkyt, laconicamente intitolato II, dove ancora una volta il nostro si cimenta in perfetta solitudine con voce, strumenti elettrici ed elettronica. Austerità è la parola che potrebbe riassumere l’essenza del lavoro: completamente nero il box in cartoncino che contiene il CD, nero il supporto digitale, nere le pagine lucide che ospitano le poche parole dei testi, nere, con solo qualche colpo di luce a individuare incerte forme, le quattro foto contenute. E nero il suono, manco a dirlo. Esaurito col primo capitolo il filone di ricerca che si rifaceva al canto bizantino, Kajkyt riparte ora dall’insegnamento godfleshano, costruendo le canzoni su basso distorto che si avvinghia al battito meccanico della drum machine, ma procede per sottrazione: meno velocità, meno volume, meno enfasi vocale, trasformano II in una marcia funebre industrial rock, non fosse che le lentezze esasperate, ben al di là dei dettami del doom, tendono a sconfinare in ambienti drone (IV). La voce è l’elemento centrale: fornendo un lirismo che bilancia la musica (VII, VIII) o abbandonandosi a litanie che ricordano un canto tibetano e ben si adattano al tono generale, regge spesso da sola il peso delle composizioni (IV) e marca nettamente, nei momenti più serrati (I, V, VI) la differenza con la creatura di Justin Broadrick. Animato da un afflato spirituale che lo avvicina agli Om e dotato di una pesantezza che va al di là delle semplici scelte musicali, II è un ottimo lavoro e a suo modo, una delle cose più pop di Kajkut, sebbene indicato soprattutto per i frequentatori dei luoghi oscuri della musica.