Iceburn/Ascend/Eagle Twin: la poetica del ghiaccio e del fuoco di Gentry Densley (prima parte)

Gentry Densley ha rappresentato, nel circuito hardcore degli anni ’90, una figura di assoluto rilievo, che ha contribuito a ridefinire i confini della musica hard ben oltre quello che era l’ambito di partenza. Lungi dall’accontentarsi dello status di culto ottenuto con gli Iceburn, il nostro sta continuando anche nel nuovo secolo un percorso di ricerca empirica lontano dai riflettori, ma non per questo meno interessante. Utile e doveroso è quindi ripercorrere le tappe della sua carriera, dagli esordi con l’hardcore anomalo di Firon alle dilatazioni drone/doom di Ascend ed Eagle Twin.
Iceburn. Il contrasto fra ghiaccio e fuoco già da solo suona come una dichiarazione d’intenti, ben espressa nel primo 7” Burn/Fall (1991), un disco che spiazza parecchio, tanto che un amico, oggi asceso alle alte gerarchie del giro industriale, me lo vendette dicendo “boh, dentro ‘sto 7” è melodico, ma non è né carne né pesce”. Questo stare in bilico fra più generi rimarrà sempre il marchio di fabbrica del gruppo proveniente da Salt Lake City nello Utah, la capitale mondiale dei Mormoni, ma per ora poco si può brainstorm_-_Insight_flyerimmaginare di quello che ci avrebbero fatto ascoltare con i lavori successivi. In questa prima incarnazione, nata dalla fusione fra due gruppi hardcore locali, gli Insight e Brainstorm, gli Iceburn sono un quintetto, in pratica la formazione dei primi con l’aggiunta di Gentry Densley. Dopo neppure un anno esce il debutto sulla lunga distanza, Firon, per quella Victory che si stava facendo conoscere come etichetta di punta del nuovo hardcore e già aveva prodotto il secondo singolo degli Insight. La formazione si riduce a quello che sarà a lungo suo nucleo principale, con Gentry Densley (chitarra e voce), Joseph Smith (batteria), Cache Tolman (basso) e la miscela è ancora più sorprendente dell’esordio, frullando post-hardcore, jazz, metal, melodia, passaggi ai limiti del rock progressivo condito da rimandi di Vivaldi, nenie irlandesi e testi che citano Nietzsche. Nonostante vantino compagni di scuderia molto evoluti come i Worlds Collide, ai tre ragazzi della Bible Belt la Victory e l’idea di essere semplicemente un gruppo “hardcore strano” va stretta: la Revelation Records è alla finestra e mette il gruppo sotto contratto. Per il loro debutto sulla nuova etichetta gli Iceburn optano per un doppio LP con un pezzo per facciata: con Hephestus (1993) i nostri si inoltrano sempre più nei territori sospesi fra l’hard rock anni ’70, i richiami jazz e la musica progressiva, senza per questo lasciare da parte le influenze di Bad Brains e Black Flag. È in questa occasione che il gruppo inizia il sodalizio con l’artista di San Francisco Rich Jacobs, che d’ora in avanti curerà le grafiche di tutte le uscite del gruppo. Non paghi dei risultati ottenuto col precedente album, i tre prendono ulteriormente il largo e lo annunciano in un omonimo split 12” (1994) con i sottovalutatissimi Engine Kid in cui milita quel Greg Anderson (poi in Sunn O))), Burning Witch, etc.) futuro patron della Southern Iceburn_first_incarnationLord e che ritroveremo compagno di Densley negli Ascend. Le due tracce della formazione dello Utah (in realtà la seconda è un differente take della prima) sono un piccolo gioiello che evolve da una reinterpretazione delle Rites Of Spring di Stravinsky verso territori hard-free di folgorante bellezza. Nel 1995 esce Poetry Of Fire ed è evidente come gli Iceburn siano definitivamente partiti per la tangente: la formazione si trasforma in quintetto con l’inserimento di una seconda chitarra (James Holder) e di un sassofono (Greg Nielsen); lo stile di Densley diventa sempre più caratterizzante e la superfusione di jazz-rock, avanguardia, musica classica e indiana è ormai giunta a maturazione. Nonostante la musica del gruppo si faccia più colta, la matrice rock e l’attitudine da punk rimangono, tanto che in una traccia delle bonus track del CD compare un medley di brani dei Black Sabbath, improvvisato durante un concerto. Per la tappa successiva il gruppo si trasforma ulteriormente, aggiungendo un percussionista (Rendy Herbert) e sostituendo in blocco la sezione ritmica, inserendo Doug Wright e Daniel Day; Densley, che abbandona quasi completamente il cantato, compensa dedicandosi al sitar. Coerentemente a questi continui cambi di formazione il gruppo varia il proprio moniker in Iceburn Collective. È sempre più palese come Densely caratterizzi il suono del gruppo, ma nel farlo ragiona sempre seguendo una visione d’insieme e le diverse formazioni vivono di vita propria. In Meditavolution (1996) ai generi che già fanno parte del loro bagaglio, si aggiungono noise, sperimentazione e fusion, oltre agli splendidi cantati del leader che fanno una sporadica comparsa a sottolineare alcuni passaggi. A differenza di gruppi come Naked City, Dillinger Escape Plan o Fantomas, gli Iceburn incorporano tutti i diversi elementi senza restituirli in modo distinto, come pure e semplici citazioni, ma sintetizzandoli; in questo senso anticiperanno il modo di lavorare di gruppi jazz-core come gli Zu, gli spagnoli Hortodox o i nostri Anatrofobia, giusto per citarne alcuni. Per certi versi Poetry Of Fire e Meditavolution rappresentano la maturazione del processo incominciato con Firon, ma per questo gruppo sui generis non esistono punti di arrivo, solo tappe intermedie, così per il successivo Polar Bear Suite iceburn__bar_grill_1992(1997) si vira nuovamente. La componente jazz-rock diventa sempre più preponderante e al quintetto si uniscono un contrabbasso (col redivivo Tolman) e un clarinetto, mentre Jared Russel subentra a Nielsen come sassofonista. Rispetto a Meditavolution sembra di essere sempre più faccia a faccia con una Mahavishnu Orchestra dopata con iniezioni del Miles Davis elettrico e di jazz spaziale alla Sun Ra. Il lavoro a tratti è sorprendente, nelle sessioni registrate live in studio l’improvvisazione guadagna sempre più spazio, sebbene si tratti ancora di un lavoro molto composito; se il gruppo è ancora vagamente inseribile nel filone hardcore (più che altro per questioni attitudinali), a livello di sonorità parla ormai con un accento decisamente originale. A sancire questo reciproco spaesamento, il fatto stesso che da qui in poi il gruppo inizi ad autoprodursi col nome di Iceburn Records, mentre la Revelation funge ormai solo da appoggio per la distribuzione. Nel 1998 esce Leos, uno strano 12″ con grafica ultraspartana e registrazione ruvida (ma comunque molto azzeccata) in cui il collettivo gioca con due chitarre, due contrabbassi, una batteria ed il clarinetto basso di Aaron Hansen. Differentemente da molti reperti free che gli Iceburn Colletive lasciano sul luogo del delitto, su questo vinile, di non facile reperibilità, invece di perdersi nel caos, il sestetto bada molto all’atmosfera, sfoggiando una sorta di conduzione (di Denlsey? Chissà…) che regala la notturna e sghemba Black Lion ed altre due perle più jazz come Wookalar e Mountain Sun. Nello stesso anno vede la luce l’ultimo disco che gode di una certa visibilità, Power Of The Lion, dove rimescolando le carte del mazzo torna Chad Popple alle pelli e all’altra chitarra viene assoldato Ed Rodriguez (Colossamite, Gorge Trio, Flying Luttembechers, Deerhoof): questa volta si gioca con due bassi, due chitarre e batteria, con il gruppo ormai dedito al rock free form a tutto campo. Il suono risulta un po’ inspessito, come se Densley e soci volessero mettere da parte quella componente jazz e ritornare alla radice rock. Risulta invece sempre più chiaro come l’improvvisazione non sia più un metodo compositivo per archiviare materiali da arrangiare successivamente, ma il modus essendi della band. Il disco è decisamente avanti sui tempi, tanto che la Southern Lord deciderà di ristamparlo su doppio LP nel 2009. Di pari passo col radicalizzarsi della proposta musicale, il gruppo, da questo momento, scomparirà dalle luci della ribalta rappresentata dalla scena hardcore, per continuare un percorso ancor più sotterraneo e solitario.

(fine prima parte, continua…)