Ibisco – Nowhere Emilia (V4V Records, 2022)

Recensione ucronica.
Lucio Dalla debutta nel 1966 con 1999, esplode in un successo clamoroso. Adotta un bimbo, lo chiamerà Filippo. Dopo Banana Republic scazza pesantemente con Francesco De Gregori ed emigra a Manchester. Filippo ha 13 anni e segue il padre nelle scorribande all’Hacienda, giocando insieme ai ragazzi del bar, ridendo di Vini Reilly e finendo in acido un paio di volte per sbaglio grazie alle vincite ai dadi con Bez. Inizia a scribacchiare canzoni ma mentre rientra in aereo in Italia per le ferie (tappa classica, ogni anno due mesi a Bologna, maglietta di Kennet Andersson lisa su pantalone a sigaretta nero, sotto pioggia o sole) purtoppo il carrello ha un problema ed è il crash. Criogenizzato viene risvegliato nel 2020, la prima cosa che sente è Bomba di Vergo, alle audizioni di X Factor.
Stretching, flessioni e rientra subito in studio, per far uscire Nowhere Emilia nel 2022. È un oggetto strano, liscio e nero, non ha avuto tempo di elaborare nulla ed ha buttato su nastro quello che pensa sia la sua vita.
L’indolenza di Meduse ha un soffio urlato che pare Calcutta rigato di Rimmel, per fortuna l’italiano si è conservato perfettamente, senza inflessioni mancuniane. Filippo tiene i BPM bassi lasciando scivolare intensità nei brani, uno dopo l’altro. I segni sul collo di Bologna Nord, reticoli di strade che compongono un corpo in continuo viaggio, troppo proiettato verso l’universo per rimanere con i piedi per terra, “…su batterie elettroniche dentro le canoniche, nelle case su chi c’è, nelle fughe via da me.”
Il mischione ha un senso, eccome se ce l’ha. L’Emilia Romagna è virata in grigio, il beat è dritto e discreto ma il ragazzo ha il colore nella voce ed urlando come al Dall’Ara i brani sono subito inni. Ragazzi è la cricca, stretta in un balletto ed il mondo fuori, coi diti medi come pugnali. In B c’ê tutto il ripiegarsi su se stessi, illangudito dalla voce di Enula, con rimpianti. Quando poi si esce dalla città la voce ed i paesaggi si aprono notturni ed infiniti. Pianure ha tutto quello che serve per essere cantata e ballata dopo una cena liquida, soli ed abbandonati, una canzone da malessere e da abbracci senza smettere di muovere quel piedino, unica parte del corpo che riesce a non piangere.
Houtunno, oltre ad avere il titolo più bello del mondo, ha un’atmosfera austera e dritta, grazie a sparute note di piane ed ad una voce dispersa come non mai ma che riesce a farsi grave. Chimiche è un anthem tra flash di discoteche in disuso e lirismo malefico, non fidatevi di chi non la canticchia e dica che non sia buona, è ovviamente malafade. Si avanza nei Quartieri, dove Filippo vuole fare a meno di mediocrità ed ipocrisia, escludendosi da una massa nella quale ovviamente non si riconosce chiedendo aiuto al gruppo. Il gruppo…c’è veramente il sospetto che queste canzoni possano essere la rappresentazione di qualcosa che non conosco esattamente ma che sembra sorretto da un bel sentimento e da pacchi di stile. Tintoria non abbassa la tensione ma lancia anzi segnali importanti, tra il campione vocale di Pier Paolo Pasolini e citazioni del passato senza però mai sembrare passatista, fra un anima blues ed un cocktail bum bum. Ma è già tempo di chiusura, con Luci finali, tra albe, nebbia ed altri paesaggi notturni…anzi no, prendiamoci un altro momento, per un remix di ragazzi, a cura di Populous, che fa ben sperare per sessioni in discoteche buie, minimi movimenti di danza e rigore mancuniano colorato di brio e di sprazzi batucada.
Gran bell’esordio.