Glorytellers + Guapo – 26/09/08 Interzona (Verona)

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L'abbinamento era parso anomalo fin dall'inizio: i paladini della nuova ondata prog coi reduci della più fertile stagione dell'indie, l'elettricità "hard" a fianco delle melodie semiacustiche, le braghe a zampa contro le All Stars. Ma evidentemente all'Interzona non volevano farsi sfuggire nessuno dei due gruppi e li hanno concentrati in un'unica serata, senza farsi troppi problemi sulla coerenza musicale dell'evento. Giustamente: i nomi sono di tutto rispetto e non mi pare il caso di fare i capricciosi per la disomogeneità della proposta.
Quando i Guapo salgono sul palco basta un colpo d'occhio per far nascere il sospetto che anche se di prog si tratta, di "nuovo" ci sia davvero poco: "chitarrabassobatteriamoog" maneggiati da uomini fasciati in agghiaccianti calzamaglie nere con paliettes multicolore ad adornarne il petto (no, niente braghe a zampa, stasera). Timori che trovano conferma al risuonare delle prime note sotto le volte dell'Interzona: siamo al cospetto di un Bignami progressive, gente che possiede come disco più recente il secondo dei King Crimson, anno di grazia 1970. Perfetti nel creare fraseggi in stile, passando senza soluzione di continuità da melodie sognanti di sapore pinkfloydiano a sgroppate "hard", i quattro inglesi sarebbero senza dubbio il gruppo del momento, fossimo nel 1971, ma oggi possono al massimo aspirare ad essere quello che per il mondo dell'agricoltura è la festa della trebbiatura fatta con le macchine degli anni '20 a Cividale Mantovano: semplice folkore.
Mi do alla fuga temendo, prima o poi, la materializzazione del fantasma degli Yes.

Si chiude così il primo atto, sipario, cambio di palco. Bevo qualcosa. Inizia il secondo atto. Rientro.

glorytellers3Nel momento stesso in cui si presentano, i Glorytellers sanno di aver già vinto la partita; non tanto con la band che li ha preceduti, con cui non c'è competizione non fosse altro che per la differenza di genere, quanto col pubblico, composto in buona parte da fedeli al culto dei Karate, dalle cui fila provengono Geoff Farina e Gavin McCarthy affiancati, in questa nuova incarnazione, dall'ottimo chitarrista Ty Citerman.
Ma come l'Inter non ha bisogno di dare il 100% per battere l'ultima in classifica (e quanto mi scoccia dover usare l'Inter come pietra di paragone), così il terzetto, forte della propria innata classe, va palesemente col freno a mano tirato, tendenza già chiaramente riscontrabile ascoltando l'album: bello, perfetto, ma tutto sommato inutile.
Il live però peggiora decisamente le cose, non aggiungendo nulla a quello che si era ascoltato sul supporto digitale, in cui una certa freddezza è tutto sommato ammissibile: esecuzioni impeccabili, melodie accattivanti fra tradizione americana e spruzzate di jazz, qualche dissonanza buttata lì senza troppa convinzione, zero anima. Certo i buoni momenti, le buone canzoni non mancano, da Camouflage a Awake At The Wheel, passando per il brano strumentale per sola chitarra acustica che Farina regala come bis, forse uno dei momenti migliori della serata. E tutto sommato, anche la mancata esecuzione di Trovato Suono, col testo metà in inglese e metà in italiano stentato, può essere segnata come un punto a favore. Ma non basta. Forse loro si divertiranno, ma il continuo sciamare degli spettatori verso il bar, oltre ai casi di letargia che si riscontrano fra il pubblico seduto, non depone propriamente a favore. Colpa dell'aria di routine che pervade tutti gli aspetti del progetto, fallimentare anche nel tentativo di andare alle radici della musica americana rispolverando un paio di blues assolutamente di maniera, con Farina che si divide fra voce e armonica, senza mai smuovere all'emozione, percorrendo sempre la strada del "già sentito" e del "già fatto", meglio, in altri tempi.
Così, da una vittoria sulla carta facile, si ha alla fine un noioso zero a zero. Stia attenta l'Inter…

(Foto di Elena Prati)