Gianluca Favaron – Blank Spaces (I Don’t Want To Be Happy) (Luce Sia, 2017)

Era in qualche modo naturale che Gianluca Favaron (Under The Snow e vari altri progetti e collaborazioni) e Luce Sia si incontrassero, uno degli artisti italiani più prolifici e interessanti con una delle etichette più attive nel documentare a 360° la musica altra del nostro paese (pur risiedendo in Svizzera). È una marcatura geografica che serve semplicemente a circoscrivere l’area di ricerca ma non intacca la qualità del catalogo che resta d’alto livello, come dimostra questo lavoro che sembra trarre la propria ispirazione oltralpe, anche se in ambito non musicale. Le composizioni che occupano i due lati di questa cassetta – Roquentin e Meursault – prendono il nome dai protagonisti rispettivamente de La Nausea di Jean-Paul Sarte e Lo Straniero di Albert Camus ma è una sottolineatura quasi superflua perché quello che si ascolta nella mezz’ora di durata del nastro dà chiaramente voce a una certa filosofia. Lo so, parlare di esistenzialismo porta alla mente le peggiori pose e maledettismi da quattro soldi, ma non è assolutamente questo il caso. Utilizzando oggetti sonorizzati, microfoni, nastri, effetti analogici e digitali Favaron assembla un ambient fatto di movimenti lenti e denso di concretismi, brulichii sommessi, qualche spigolo: è il suono dell’isolamento inteso come condizione esistenziale, cercato e trovato. Potrà risultare ostico perché poco “musicale” ma in Blanck Spaces non troverete traccia di scontrosità o nichilismo a buon mercato così com’è del tutto assente ogni malinconia. È invece moderna musica (sì, musica!) intimista dotata di un equilibrio invidiabile che va oltre il semplice fattore sonoro, come fosse il punto d’arrivo di un’impegnativa e profonda riflessione. Merce rara, insomma.