Franz Rosati – Ruins (Nephogram, 2014)

Nuovo lavoro per il romano Franz Rosati, musicista, videoartista, discografico (sua l’etichetta che fa uscire il disco) e membro dell’attivissimo collettivo AIPS, oltre che di una serie di altri progetti (Gridshape, Pathline #1). In questo disco, assemblato rielaborando field recordings, suoni live e abbozzi raccolti fra il 2010 e il 2014, affronta un tema non nuovo, le rovine, ma con piglio assolutamente originale, attraverso sette tracce piuttosto lunghe e caratterizzate da un suono stratificato e profondo, per il quale è difficile decidere se optare per un ascolto con cuffie, che ne valorizzi la profondità, o senza, per coglierne l’impatto fisico.
Lontano dai toni romantici e malinconici che verrebbe naturale associare all’argomento, Ruins è un lavoro curatissimo ma brutale, verrebbe da dire – e forse il termine non è mai stato così calzante – post industriale: a Rosati le rovine interessano non in quanto resti di ciò che è stato, ma come strutture che hanno saputo resistere al tempo e che trovano una collocazione nel presente. È quindi un album di tensioni e di forze, di frequenze basse e distorte sezionate da ritmi o cadenzate da pause che le rendono, pur nella loro durezza, a misura umana. Il suono è sporco, granuloso, distorto e non potrebbe essere altrimenti – non si supera un collasso senza portarne il ricordo e i segni – ma le ritmiche presenti in varie forme, i field recordings descrittivi, le chitarre trattate (salvo quella cristallina di Filippo Mazzei, dei Vonneumann, in un brano)  testimoniano la volontà di farsi riconoscere, misurare, leggere. Ruins non si nasconde dietro quell’incomunicabilità compiaciuta che nel genere è tanto frequente, ma ci fornisce una base e un’idea di ripartenza dopo il crollo; come già faceva Everything Collapse(d) di Deison & Mingle – quello con sguardo più poetico, questo più analitico – guarda al presente, realisticamente: è di dischi così che abbiamo bisogno.