Ffatso – Mano Nera (Setola Di Maiale, 2009)

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Un nuovo disco targato Setola Di Maiale in ambito più marcatamente jazzistico: l’amore di Stefano Giust per il genere ed il fatto che molti dei musicisti che ruotano attorno all’etichetta abbiano un piede in questo ambito non è un mistero per nessuno. Jazz…off? Nì, nel senso che rispetto alla roba che gira in Italia è sicuramente materiale "spinto", ma giusto perché vale sempre il solito discorso sul jazz da "serata culturale della piccola pro-loco": grossi nomi che se va bene fanno uno show anestetico a botte di standard reinterpretati soft e/o pedissequi perché bisogna portare a casa il soldo facile… e la moglie del sindaco e l’ "asesur" il giorno dopo sono ben felici di raccontare di aver visto "il concerto jazz" agli amici.
Tutto questo accade a patto che non si siano frantumati ovaie e palle a vedere qualcosa che comunque mediamente non capiscono (e qui Chet Baker di Come Se Avessi Le Ali su Minimum Fax sarebbe una lettura illuminante), non gli interessa particolarmente e vanno a vedere il concerto perché fa "serata de gurtura". Bene, detto questo, Mano Nera è nero per davvero ed al di là delle assonanze il disco si muove su di un groove cupo e molto notturno che ricorda molto jazz "after midnight", quindi materiale che spesso finisce nelle colonne sonore dei noir o che va bene per i film con Sidney Poitier: fumo, la downtown che si muove, i bassifondi che pulsano e il groove a fargli da sottofondo punteggiato da qualche bella sirena della polizia e dal traffico, e De Niro può continuare imperterrito a guidare il taxi ed a pensare quando verrà il diluvio universale a spazzare via la feccia dalle strade. I Ffatso sono un classico trio sax, basso, batteria: per mia ignoranza non conosco Stefano Colli, mentre Stefano Ferrian, che qui suona il sassofono, è il chitarrista degli Psychofagist (uno dei miei gruppi grind preferiti del momento), e Dominik Gawara ha inciso materiale di un certo spessore sempre su Setola Di Maiale, sia in solo che come GBUR. Non hard-jazz quindi, ma riff di basso che macinano su una batteria solitamente lontana dal free e che sviluppa il tema in modo molto progressivo, dando molto peso sia agli accenti sia alle ripetizioni, infatti Gawara e Colli preparano l’impasto di una torta su cui Ferrian può mettere le decorazioni che vuole, nonostante non si tratti per nulla di un disco in cui il sax risulta staccato dal resto della formazione, anzi, anche quando giocano nel campo del free si sente che i tre si integrano perfettamente a livello stilistico: nessun solo prolungato oltremisura, nessuna parte protratta per il semplice gusto del divertissment da musicista, zero attitudine al "facciamo casino" e/o alla "guarda quanto sono bravo". Per quel che riguarda le definizioni questo nel bene o nel male è jazz, e credo che ci sia poco a che ridire in merito al termine, non è musica particolarmente soft ma ben distante da quello più ostico e ruvido; roba cupa che si sposerebbe perfettamente con la nebbia prodotta dai fumi dell’alcool.