Fabio Fazzi – Shattered Worlds / Nunavut – Diurnal Course (Asbestos Digit, 2020)

Due interessanti pubblicazioni targate 2020 dalla prolifica Asbestos Digit.
La prima è quella di Fabio Fazzi, musicista di area elettronica sperimentale, che già si era fatto notare con l’album Harsh Communication del 2019, lavoro con il quale imbastiva un personale connubio di trame sintetiche, manipolazioni rumoriste e armonie inconsuete, mostrando qualità stilista ed eleganza di vedute. Shattered Worlds con le sue leggere linee armoniche, gli sprazzi minimalisti e le teorie candidamente disperse, ne prosegue la ricerca spingendo stavolta il suono attraverso riflessioni distopiche: le 5 tracce dell’album rendono infatti palpabile la percezione di un mondo che va alla deriva (e con esso tutte le nostre certezze), traducendo la fragilità dell’esistenza contemporanea in un tripudio destabilizzante di allitterazioni sonore e riverberi vorticosi. Un discorso reso ancora più inquietante dalla scelta di metaforizzare qualsiasi legame terreno in una tensione evanescente; persino le morbide note di un pianoforte trasfigurano in una progressiva trasparenza. Allo stesso tempo, però, la linea melodica emerge non solo come ricordo della perdita, ma anche come ultimo frammento di speranza a cui aggrapparsi nel graduale disfacimento del tutto. Un lavoro gestito con stile solido e sincera passione melanconica.
Altre sensazioni positive arrivano dal nuovo album dei Nunavut, formati da Gianni Faluomo (piano, synth), Dabrowka (rumori) Ravich Ravic (percussioni) e Antti Jussila (mallets). Come prima cosa, tuttavia, devo subito dissentire con la presentazione della label, che definisce il genere dell’ensemble con il termine hypna-prog. Dentro Diurnal Course non troverete del citazionismo sterile à la James Ferraro post-Skaters, ma partiture che mescolano si generi differenti e teorie blobistiche, ma agite con una  un rigore compositivo modern classical che rende le stratificazioni concrete e accattivanti. Senza perdersi in fantasticherie che lasciano il tempo che trovano, il quartetto costruisce una musica ondivaga ma dalla consistenza coriacea, nella quale confluiscono derive terzomondiste, lamine siderali, aperture orchestrali, droni cibernetici, Ligeti in tutte le sue sfumature, tribalismi vari, dilatazioni iperspaziali ed elucubrazioni sciamaniche. E tutto scorre maestosamente. Insomma, qui si parla di roba fatta bene, non di altro.