Disco Doom – Trux Reverb (Defer/Static Cult, 2011)

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Gli svizzeri Disco Doom li ricordavo di spalla ai Built To Spill nella loro data veronese del 2008: indie rock calligrafico che si rifaceva ai maestri del genere, senza lasciar traccia. Quelli che ritroviamo oggi, non so bene in funzione di quale incredibile metamorfosi, sono decisamente un altro gruppo, dedito a un suono sporco e che nulla ha a che spartire con l'esperienza del passato, se non la presenza di Jim Roth (chitarrista dei citati Built To Spill) dietro al mixer dello studio di registrazione.
Quanto le cose siano cambiate lo scopriamo per gradi, ma il mutamento di rotta è evidente fin dall'iniziale Trux Reverber, lente cadenze per sola chitarra distorta, un suono che pare sbriciolarsi e una forma alla vana ricerca della stabilità. Gliela danno gli altri strumenti, che entrano in The Cabin: fra veemenze strumentali e sezioni ritmiche denudate salta fuori un hard blues come avrebbe potuto suonarlo Hendrix se fosse stato scritturato dalla Trance Syndicate. Manca ancora un elemento al completamento del quadro e tutto si compie in Star Drone con l'ingresso della voce, l'unica volta in cui timbra il cartellino. Non che sia ben accolta: gli strumenti vanno per la loro strada, squadrando il suono in blocchi, lei si ritaglia spazio come meglio può, tratteggiando una melodia sofferta che stabilisce un punto d'equilibrio fra indie rock e noise; una piccola perla che concede poco alla facilità d'ascolto ma dà molto in termini di espressività. Il pezzo successivo riprende il discorso di The Cabin, chiudendo il cerchio e dandogli quadratura. I due pezzi finali, un breve brano che rimanda al passato del gruppo, non brutto ma fuori contesto e un lunghissimo brano di rock minimalista piuttosto accessorio, non cambiano la sostanza di un disco che più che un ritorno segna una rinascita, sorprendente e graditissima.