Daniele Brusaschetto – Fragranze Silenzio (Bosco/Sincope/Bar La Muerte/Chew-Z, 2010)

Uscita di fine anno per uno dei “best kept secret” italiani… ma si tratterà realmente di un segreto? Daniele Brusaschetto a suo modo rappresenta un caso a parte in molti sensi, in fin dei conti è vero che ha sempre lavorato nella disattenzione della stampa ma è altrettanto vero che ha sempre avuto uno zoccolo duro di estimatori (come ad esempio Dorella di Bar La Muerte che non a caso è sempre stato dietro alle sue produzioni). Per di più il torinese oltre a lavorare alacremente ad una continua evoluzione stilistica è stato titolare di progetti molto diversi e vuoi mai che l’eterogeneità e l’ibridazione vengano premiate, poi certo tutti si riempiono la bocca con i nomi di Zorn, Thurston Moore e Ambarchi ma l’erba del vicino è sempre la più verde. Per chi ricordasse Brusaschetto in veste rock industriale, va detto che da un po’ di tempo a questa parte il torinese si è spostato verso un cantautorato in italiano fatto a modo suo, ma nelle canzoni del sabaudo la pesantezza in un certo senso è rimasta e, nonostante i passaggi smaccatamente melodici e gli arrangiamenti, una certa malattia è sempre presente. La produzione come sempre è ottima, a tale proposito va anche ricordato che non a caso Brusaschetto di recente ha dimostrato di avere grosse capacità producendo l’esordio di Paolo Spaccamonti e il disco di remix degli Ovo. Beat elettronici molto semplici e sempre piuttosto fini, cantato sottilissimo, narcolettico e mediamente depresso, spruzzi di elettronica su tracce che solitamente sembrano essere state composte in modo molto semplice con chitarra e voce. Non so quanti di voi ricordino gruppi come gli Ex Chittle, alcune cose di Bristol come Third Eye Foundation e simili, poi buttateci dentro un po’ di trip hop, un gusto vagamente darkettone e l’area geografica di Fragranze Silenzio inizia ad emergere. Stilisticamente Brusaschetto ha le idee molto chiare e i dischi sono sempre assemblati in modo che certe tracce comunque piuttosto diverse passino sotto le orecchie senza stridere nella tracklist, proprio per questo si passa da canzoni più o meno cupe a tracce morbide come Fiori Finti che anche se invece di durare quasi due minuti ne durasse duecento non rischierebbe mai di stufare. Rispetto agli album precedenti sembra che il torinese si sia spinto sempre più in là nel percorso intrapreso da un po’ di tempo a questa parte.