Cup – Hiccup (Aagoo, 2017)

A fine anno Aagoo decide di concludere le uscite con qualcosa di classico ma fresco: Cup è il nome dietro cui si nasconde Tym Wojcik, originario di Houston ma di base a New York, che a quanto mi dice Google pare avere abbandonato la scrittura di poemi per dedicarsi alla musica. Onestamente non ho letto le poesie, ma devo dire che, seppure non inventando assolutamente niente di niente, la sua rilettura del rock and roll mi ha davvero convinto; intendiamoci subito, io non sono un tipo da stivali e assi sudate, anzi rifuggo abbastanza lo stereotipo del rocker passatista e garagista a tutti i costi: quando però all’ascolto scatta il mio radar mi faccio sempre trovare pronto, ed è questo il caso di questo Hiccup, settima uscita di Cup. Rodata quindi la formula, che consiste in un garage abrasivo ma non troppo, nei ventitré minuti del disco c’è spazio per una dozzina di piccole perle, infatti la onemanband di Tym (che scrive, suona e produce tutto da solo) si muove sulle coordinate “classiche” con una piccola spruzzata di modernità indie (che sicuramente sarebbe tollerata alla In The Red per capirci), chitarra e riverbero ben in evidenza, voce lievemente filtrata e appena bassa, batteria secca e bassone sempre presente: grazie alla scrittura delle canzoni Hiccup è una goduria per le vostre orecchie, con il piede che inevitabilmente batte il tempo e la mano che alza la manopola del volume. Nel 2006 recensii il primo disco autoprodotto di un allora sconosciuto Ty Segall, stupito dalle sue qualità: chissà che non si ripeta ancora una volta la magia del rock and roll…