The Child Of A Creek – The Earth Cries Blood (Seahorse, 2013)

Era atteso da tempo il nuovo disco del toscano The Child Of A Creek; ora, a oltre due anni dal lavoro precedente, ecco The Earth Cries Blood, disco che ha avuto una gestazione lunga e sofferta che, oltre ad aver influito sui tempi d’uscita, sembra aver marchiato a fuoco le atmosfere dell’album. Stilisticamente non siamo distanti dal solco tracciato dai predecessori, moderno psych-folk di matrice inglese, con qualche strizzatina d’occhio al drone in sottofondo; nemmeno la maggior varietà di strumenti (pianoforti, arrangiamenti d’archi, flauti) sembra influire sul risultato finale: la scrittura sapiente mette ogni strumento al servizio della misurata poetica dell’autore. Quello che semmai lo distingue è l’umore, nettamente più meditativo e cupo, a tratti verrebbe da dire quasi rassegnato. Se le vecchie composizioni parevano avvolte in una nebbia luminosa, qua i toni sono più opachi che fanno percepire la pesantezza del mondo. La chitarra elettrica lamentosa che ci accoglie nell’iniziale Morning Comes ci fa subito intuire tutto: la incontreremo ancora nel corso di un disco che trasuda quella sofferenza cosmica ben esplicata dal titolo. Ci è di conforto trovare gli elementi che già apprezzavamo: la bella voce quasi sussurrata (con Pantaleimon ospite in Dont Cry To The Moon), le melodie suadenti, i suoni cristallini, ma quello che manca è il trasporto: The Earth Cries Blood nega ogni possibilità di trascendenza, sostituita da una discesa nella materia che può essere interpretata come un’annullarsi nella terra. Anche se le belle canzoni non mancano (Leaving This Place, Terrestre, Birds On The Way Home), più dei predecessori è questo un album da ascoltare nel suo fluire, contemplando la sua poetica sofferenza possibilmente da una certa distanza: anche se la materia sonora non è ostica, la sofferenza che The Earth Cries Blood porta con sé non è delle più facili da accettare.