Buildings – Melt Cry Sleep (Double Plus Good/Cash Cow, 2012)

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“Non male questo gruppo, solita roba eh, però fatta bene, roba anni ’90”. Se vivi nel 2012, hai passato la soglia dei trenta e i capelli tendono a diradarsi, è quasi un obbligo morale rivalutare quella frase. Sicuramente si parla di un gruppo rock che pur non cambiando le sorti della musica nell’immediato, ha piglio, spunti interessanti e un bel background in comune con te. E’ nato così l’approccio con il nuovo album dei Buildings, Melt Cry Sleep. Una parola sussurrata tra amici e l’idea, ancora prima di ascoltare, che si trattasse di una “mezza sicurezza”. Intuizione che dopo svariati ascolti non posso che confermare: il terzetto di Minneapolis (si respira aria buona da quelle parti per i power-trio), affidatosi alle cure di Jacques Wait e Bob Weston, tira fuori dieci pezzi di crudo e battente noise-rock, che incorpora il meglio di quanto offerto dal genere negli anni ’90. Una retrospettiva tra sudici vinili targati Touch and Go, AmRep e qualsiasi etichetta che abbia mescolato post/core, rumore e urla isteriche. Il pregio, che va oltre la mera calligrafia, è un suono davvero gratificante, la relativa brevità e conseguente intensità: un disco, insomma, che si fa ascoltare senza annoiare, aggressivo ma non eccessivo, in bilico tra l’acidità dissociativa della voce, il basso corposo e grasso, le ritmiche sostenute e cangianti. E una chitarra che sa incidere da manuale, vuoi nella coinvolgente entrata di Rainboat, vuoi nell’assalto all’arma bianca di I don’t Love My Dog Anymore. Sarà anche la solita roba, ma ce ne fossero di dischi così. Da ascoltare ad alto volume, santino dei Jesus Lizard sul comodino, please.