Bonnie “Prince” Billy – Lie Down In The Light (Drag City, 2008)

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One. Two. Three. Four. Sussurrato a battere il tempo. Come il cigolio notturno di un cancello, Un'apertura profetica. Un qualcosa dopo di cui è impossibile non voler vedere cosa succede. E quello che accade è un allegro passo country da strada sabbiosa con la voce piazzata sopra che sembra fischiettare, archi leggeri ad incrociarsi con l'acustica, suono aperto alle modulazioni più alte e versi apparentemente scacciapensieri. Si chiama Easy Does It il pezzo che apre il nuovo disco di Bonnie "Prince" Billy ed in un certo senso è una sorpresa. Intendiamoci, il tutto suona tremendamente inconfondibile, ma lo fa in maniera singolare fondendosi ad un'ironia trascinante. Ironia che altre volte sembrava fare difetto all'autore, con quella sua spinta un po' autoreferenziale.
L'album poi si scioglie nelle trame più conosciute, con la voce di Ashley Webber a fare da contrappeso nelle tracce più dolci e a dialogare con lui nei versi più disperati, con il suono che si ovatta e diventa pieno ed avvolgente, con i bassi che tornano a dominare insieme alla sua ruvida voce sempre sul filo della rottura. Su tutte What's Missing Is, serie straziante di domande imposte su una linea melodica che ha il passo di un funerale e la potenza di una esplosione. Però quel sapore frizzante dell'apertura rimane sempre vivo e dona ad alcune tracce una tale ironia che ne rivela l'anima più folk, si dica ad esempio di For Every Field There's A Mole e You Want That Picture. La sequenza si chiude con l'altra faccia della medaglia, quella più solenne, con il country-gospel "I'll Be Glad" dove organo e chitarra compongono uno splendido, soffice e commovente inno di chiusura. Non si sa bene come, ma non appena arrivati alla fine ci si accorge di aver viaggiato da qualche parte a sud del Kentucky e non si può fare altro che voler ricominciare. Subito… Per certi versi un disco alla Bonnie "Prince" Billy, suonato forse in maniera più stanca e distratta, ma con la solita carica di splendida inquisitoria malinconia. L'ultima apparizione (The Letting Go, 2006) era stata un vero e proprio capolavoro, questo Lie Down In The Light non lo è. Ma dopo tutti questi anni la presenza di Will Oldham è più che mai confortante, capace ancora di comporre un disco bello, pieno di spunti e che lascia in bocca la sensazione di aver ancora qualche carta da giocare per superare tutte le maledette spinose faccende che ogni giorno tentano di bucarci lo spirito.