Black Pus – 05/10/13 Interzona (Verona)

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La stagione dell’Interzona, che si annuncia ricca di bei nomi, si apre con quel Brian Chippendale che, a cinque anni dal devastante concerto dei Lightning Bolt, torna sul luogo del delitto col suo progetto solista Black Pus. Mi chiedo se pochi siano al corrente di chi si nasconda dietro questo nome o se, pur sapendolo, non siano interessati a questa versione dimezzata della band di Providence, dato che il pubblico è di gran lunga inferiore alla storica serata di un lustro fa. Noi comunque ci siamo e questo è quello che conta. black_pus_1
Detto questo, devo ammettere che da parte mia le aspettative non sono alte: l’eredità dei live dei Lightning Bolt è pesante e il recente All My Relations, per inciso davvero ottimo, pur essendo assai vario e dinamico, dà più l’impressione di una musica da ascoltare, magari ammirando le doti da one-man-band del batterista, che non da vivere in una bolgia di corpi; anche vedere, nelle foto promozionali, Chippendale acconciato tale quale allora dietro la batteria, certo non aiuta a fugare i fantasmi del passato e fra crescere l’attesa e le domande sul tipo di esibizione a cui assisteremo. Una prima risposta l’abbiamo appena entrati nella sala concerti, nel vedere la batteria collocata “normalmente” sopra il palco: questa sera non ci si farà male.  Prima dell’inizio Chippendale scorrazza tranquillamente per il locale, poi, quando ricompare sul palco, il viso è già celato dalla famosa maschera multicolore che, logora e sfilacciata sotto il mento, lo fa apparire un incrocio fra Arlecchino e Cthulhu; per uno che viene dalla stessa città di H. P. Lovecraft è preoccupante. Pochi momenti spesi ad assicurare il microfono integrato e regolare volumi e strumenti, conditi da qualche surreale vocalizzo, poi il flusso del suono investe tutti i presenti, quasi ricacciandoli lontano dal palco; due impavidi in controtendenza, gli ineffabili headbanger ben noti sotto tutti i palchi del nord Italia, guadagnano la prima fila, rimanendo per tutto il concerto a fornire un’appropriata coreografia che raccoglie l’approvazione dello stesso Chippendale. C’è da dire che dal punto di vista visivo, vedere il nostro destreggiarsi fra pelli, piatti, microfoni e pedalini fa strabuzzare gli occhi (che tutto quello che si ascoltava sul disco fosse opera di un solo uomo era dunque vero!), ma anche le orecchie, pur sanguinati per il volume, hanno di che godere: il concerto è una scossa continua, fra ritmi in continua mutazione e loop elettronici e vocali che ci black_pus_2accerchiano, in un calderone che mischia elettronica, noise e free rock, senza cadere in tentazioni danzerecce (Dio lo benedica!) e che a tatti fa riviere lo spirito e la follia dei grandi Men’s Recovery Project. Il live dei Lightning Bolt resta un’esperienza unica, ma qui c’è certamente un valore artistico maggiore, un’esibizione meno coinvolgente ma comunque trascinante,  dove la musica è la vera protagonista e la tecnica mai fine a sé stessa: la batteria, strumento d’elezione, si divide equamente le parti con elettronica e voce effettata. Passato lo stupore per la perizia del protagonista il rischio è che affiori un pizzico di noia, anche perché nella furia si perde un po’ la felice vena off-pop del disco per concentrarsi sul cadenze più selvagge e brutali, ma il pericolo è eluso con una durata che di poco supera i tre quarti d’ora e un finale in crescendo, con una Hear No Evil, col suo cantato para-operistico, davvero esplosiva. Non si può chiedere altro. L’ultima sorpresa ce la riserva Chippendale appena sceso dal palco: a fronte di una tale performance fisica, il nostro non appare nemmeno troppo sudato: fategli l’antidoping.