Beck – Modern Guilt (XL, 2008)

Beck - Modern Guilt

Inutile negare la grande colpa del Bob Dylan degli anni '90, il grande genietto che ha saputo, se non per primo sicuramente come brillante capofila, riscrivere le leggi del folk evoluto degli anni '90: a fronte del peso di essere un tale innovatore, è costretto da dieci anni a dover riscrivere la propria formula ogni volta uguale e ogni volta diversa. Neanche questa volta ci riesce appieno: vano negare o cercare di controbilanciare la cronica mancanza di grandi singoli con una produzione dall'occhio lungo. Toccato il meglio in tempi recenti con Guerolito, l'album di remix dove quel filo di innovazione tanto agognata gli era donata dai malcapitati nomi coinvolti, il signor Hansen dev'essersela intagliata: tappati il naso e metti le canzoni in mano al primo furbacchione che ti passa vicino. E l'intuizione non è certo da scartare o da non riproporre: laddove falliva, miseramente, gli arrangiamenti degli ultimi dischi qui l'accorto Dj Danger Mouse pone rimedio: buona testimonianza ne sono la profusione di tappeti synthetici di violini e i coretti di Walls, i chitarrini volutamente in contropiede di Gamma Ray, il basso di Youthless, legnoso come non se ne sentono spesso, se non su ristampe. Non è difficile pensarle arrangiate dallo sghembo ensemble che da sempre accompagna e corregge il tiro dal vivo del folletto americano. Che di piccolo ormai ha poco, soprattutto l'ego. Per circa metà questo non è nemmeno un cattivo disco, rimane un passo indietro agli storici solo per il peso e il successo che hanno riscosso negli anni nell'economia di un autore in evidente crisi. Ma, dai tempi in cui si gettò a capofitto in un recupero del folk tra Drake e Gainsbourg, la grande colpa di Beck è che non azzecca una canzone: una cronica mancanza di singoli che, presuppongo, forse un filo inficino anche il suo profilo bancario. Troppi dischi e troppi pezzi inutili che rendono vago anche il buon lavoro di produzione cui si aggrappano disperati i pochi brani decenti ad uscita. Anche qui la voce e l'indolenza dello slacker escono, come sempre, allo scoperto: il timbro è il suo, così inconfodibile. Purtroppo risulta addirittura superato sul piano lessicale da uno Yoni Wolf qualsiasi, più in forma e più sgamato in termini di credibilità di strada: è inammissibile quanto poco il nostro riesca a quagliare in termini di freakerie assortite da mettere sul piatto, tanto nel linguaggio quanto nella forma. Inoltre, la composizione non è neanche quella pop che sta facendo la fortuna commerciale del produttore e di Cee-Lo come Gnarls Barkley, senza peraltro scalfire da lontano la portata nevrotica dei suoi vecchi singoli. Ed è un peccato. Una colpa grave. Insomma, il tentativo che cerca con ogni nuovo disco di far convivere una tradizione pop americana tra Brill Building, Beach Boys e il folk da lui revitalizzato con il carrozzone dell'electro zoppicante, soprattutto oggi nell'era del digitale tout-court, pare non disporre di una soluzione alla sua portata. Il disco scorre, le canzoni mettono in campo tutti i trucchi dei due meister dell'elettronica scalcagnata, entrambi dotati di un senso amorevole del recupero di certe conoscenze sonore risalenti ai favolosi anni '60. Il disco raggiunge la sufficienza, a parte alcuni sfortunati episodi, quali il quasi inutile Soul Of A Man con quelle esili scudisciate che fanno ridere estrapolate da un contesto meno redneck e più electro, o la stentata iniziale Orphans, nulla più di un'introduzione tirata per le, troppo, lunghe.
Ancora una volta materiale buono più per un oculato lavoro di remissaggio creativo da parte di altri che non per una raccolta del suo meglio. Ma non sarebbe bastato fare un singolo con quei tre o quattro pezzi buoni prodotti da Danger Mouse e aspettare ad avere un buon numero di canzoni valide? Quanto pesa la necessità di uscire con un disco ogni anno e mezzo, ai ritmi dell'ultimo Woody Allen, nel suo conto in banca? Azioni e scelte volte solo a spennare i soliti fans? Qual'è la nostra, di colpa moderna? Per ora aggrappiamoci a quel che abbiamo: con Beck annaspiamo ancora nelle acque tempestose del peccato, e non si vede alcun segno di Salvezza imminente.