Bachi Da Pietra – 16/02/13 Carmen Town (Brescia)

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Sfido chiunque a dire di non essere rimasto sorpreso nel vedere uscire, dal bozzolo del baco da pietra, il cagnaccio dei Motorhead; la mutazione radicale è tuttavia nella natura di questi insetti e piaccia o no, questa è la forma che il duo di Succi e Dorella ha assunto oggi. E piaccia o no, se si vuole davvero cogliere il valore di un album rock qual è Quintale, è necessario incontrarlo in carne e suono nella terra di nessuno del palco, in ossequio alla tradizione del genere.
Il Carmen Town, con la sala concerti seminterrata e le volte in cotto, è il luogo ideale per un gruppo che esordì otto anni orsono con un album intitolato Tornare Nella Terra e che ha registrato un paio di dischi in improvvisati studi sotto il livello del suolo; anche se quei tempi sembrano lontani, non è facile sfuggire alla propria natura. Diverse erano le curiosità riguardo al live: l’accoglienza del pubblico, dopo un album salutato dalla stampa con approvazione quasi plebiscitaria; la resa dal bachi_sa_pietra__carmentown1vivo dei brani, che su disco sfoggiano un suono mostruoso, presumibilmente difficile da rendere fuori dallo studio di registrazione; infine, la convivenza, sulla carta difficile, fra i pezzi nuovi e quelli vecchi. La prima risposta arriva subito, con una sala stipata come non sempre mi è capitato di vedere per i Bachi Da Pietra: facce vecchie e nuove pigiate come sardine e torturate, prima dell’inizio, dagli sbuffi della macchina del fumo, giusto per far capire che stasera ci sarà poco da scherzare. A completare le l’opera ci penserà da lì a poco il gruppo. Se infatti il disco poteva far immaginare qualcosa di… divertente, in fin dei conti si tratta di caro, vecchio rock’n’roll, l’esibizione mette in mostra il lato meno accomodante della faccenda. Il suono della SG è tagliente, ma come può esserlo una lama arrugginita, slabbrato, malsano, ruvido; la voce è quasi sempre un bachi_sa_pietra__carmentown2ringhio, accompagnato da espressioni degne del miglior Tom Waits (che certi toni di voce influenzino i muscoli facciali?), mentre nelle brevi pause Succi non si lascia sfuggire nemmeno una parola. Non c’è in realtà da sorprendersi, i testi di Quintale parlano da sé, cosa si potrebbe aggiungere? Qualche battuta? Direi che non è il caso. Non di sola chitarra e voce vivono comunque i Bachi Da Pietra e fin dalle prime note risulta evidente come il contributo di Bruno Dorella sia determinante nel dar consistenza al suono: la sua batteria, se così vogliano chiamarla, è sempre la stessa, ridotta ai minimi termini e rigorosamente senza cassa, ma tuona come se fossero due al completo, a forza di braccia, sudore e bacchette “vere”, essendo state pensionate le spazzole e i rod. Se l’attività live si manterrà intensa com’è stata in questo scorcio di stagione, alla volta di giugno il batterista sarà diventato un figurino. Si ha così avuta risposta anche alla seconda domanda. La terza rimane invece in sospeso: fatta salva Dragamine, che fa capolino nel bis, la scaletta è a completo appannaggio delle canzoni di Quintale, che devono farsi le ossa. L’album è eseguito per intero sovvertendone la scaletta: si parte da Pensieri Parole Opere e si bachi_sa_pietra__carmentown3chiude con Paolo Il Tarlo. Nel mezzo, brani che già al contatto con la realtà iniziano a mutare (non si può sfuggire alla propria natura…), caricandosi di una maggior ruvidità: ne risentono soprattutto i più melodici Fessura, Dio Del Suolo, Ma Anche No, ma non è cosa sgradevole, poiché va a ridurre quelle differenze fra pezzi hard e ballate che nell’album erano molto, forse troppo accentuate. Per un’oretta i due sparano in faccia al pubblico un concerto cattivo, cinico, rumoroso, che nulla concede alla facile approvazione: per la prima volta in anni di carriera possono sfoggiare un suono capace di sovrastare chi nella sala osasse parlare e non si risparmiano. A onor del vero sono comunque pochi quelli che si arrischiano apri bocca: nonostante l’atmosfera positiva, col pubblico ben disposto, partecipe e con qualcuno che dimostra già di conoscere i pezzi nuovi, si ha l’impressione di una certa reverenza, come se tutto non fosse poi così rassicurante come ci si aspetterebbe da un concerto di caro, vecchio rock’n’roll. In genere, dal bozzolo, il bruco esce trasformato in una splendida farfalla, i Bachi Da Pietra ne sono usciti invece brutti e cattivi. Alla fine del concerto Dorella, alzandosi dalla sua postazione, leva le corna al cielo. L’ha sempre fatto, ma questa volta il gesto non sembra poi così ironico.

(Fotografie di Sebastiano Tonghini)