iancurtis

Rock And The City – Death Is Not The End?

Quando queste righe saranno consegnate alla Rete delle reti, Pasqua sarà andata e venuta in un battibaleno, col suo significato di morte e resurrezione per chi conserva un barlume di religiosità. Non io. Mai avuta manco un'oncia, se è per quello, e men che meno in questi tempi disastrati. Nello specifico di quanto leggete qui sotto, tuttavia, la cosa non conta nemmeno un po'. Qualche settimana fa ho finalmente rimesso ordine tra le riviste del 2006 e, sfoglia di qua e rileggi di là, ho fatto due conti. Mi è venuta la pelle d'oca nel redigere la lista – solo mentale: guai anche a considerare di prendere in mano una penna – di chi se n'è andato dal variopinto e rutilante mondo del "rock". C'è un problemino, da qualche anno in qua: i musicisti che hanno fatto la storia (piccola o grande, non conta) divengono sempre più vecchi, scoprendosi, e scoprendoli noi, normali uomini. Quelli che non ci hanno rimesso le penne da giovani & belli, per incidenti o – come dire – malattie professionali, sono arrivati fin qui e rischiano di salutarci da un dì all'altro, né più né meno dei simpatici e solari vecchietti della bocciofila che incrocio al parco pubblico il sabato mattina.

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chicazzosei

Rock And The City – La Storia Siamo Noi

Sosteneva Lukàcs che il compito del genio è mettere ordine tra le cose, che per deduzione equivale a dire che artisticamente non si crea nulla da zero, piuttosto si tesse una rete di fili già esistenti e pronti a farsi scoprire e connettere all’infinito. Calza a pennello per tanti suoni che c’accompagnano: prima dei Velvet ci fu La Monte Young ma era avanguardia colta e non rock; prima dei fratelli Reid c’erano giustappunto Reed e soci ma non erano pop; l’ambient di Brian Eno lo avevano già in mente i Cluster ma senza l’afflato pastorale in quanto tedeschi inurbati. Si potrebbe proseguire all’infinito, però a questo giro non si parla di corsi e ricorsi storici, bensì di quella sovente benefica patologia che si suole chiamare "revisionismo".

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scaruffi

Rock And The City – L’Anno Che Venne E Se Ne Andò

Siamo tutti qui – non è il Braccobaldo Show, ma poco ci manca – alle prese col consueto rito, sempre meno divertente, delle playlist di fine anno. Ogni addetto (e una discreta quantità di interdetti) ai lavori si balocca con la compilazione di liste ed elenchi, pronto da qui a dieci anni a rinnegare i suoi dischi preferiti tra le risate generali. Nulla di male, non fosse che oggi, nella confusione delle migliaia e migliaia di uscite (se interessa, ho ascoltato per piacere, gloria o dovere qualcosa in più di un par di centinaia di dischi dell’A.D. 2006, e non la scarico la musica, io), si finisce per focalizzare inevitabilmente una linea di stile o editoriale in ogni caso parziale: chi li ha sentiti TUTTI i dischi usciti quest’anno? Solo Piero Scaruffi, e mica ci metterei la mano sul fuoco (cito spesso Piero perché ad ogni invocazione il Grigis ripone un soldino in un vaso di Nutella vuoto, come fanno le mamme morigerate e prudenti coi figli facili all’ingiuria; una volta pieno, l’intero staff di Sodapop andrà alle Cinque Terre per uno sciacchetrà).

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pastels

Rock And The City – La Presa Per Il Culto

Di nuovo, Natale è qua e ha invaso la città. L’inevitabile profluvio di Best Of, Singles, Greatest Hits e cofanetti ha raggiunto e superato il livello di guardia, quello cioè da cui si inizia a invocare il divino zoomorficamente. In un tale marasma di molte ristampe dell’ovvio e qualche recupero inatteso, una domanda nemmeno troppo oziosa sale all’orizzonte…

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