Altieri/Balestrazzi/Becuzzi – In Memoriam Of J.G. Ballard (Old Europa Cafè, 2012)

Altieri, Balestrazzi e Becuzzi tributano il maestro della letteratura inglese a tre anni dalla scomparsa e lo fanno tornando sul luogo del delitto, riscoprendo e assemblando suoni che riportano agli albori della cultura industrial. Nulla di sorprendente, Ballard ne è certamente uno dei padrini e l’influenza delle sue opere e del suo immaginario è evidente in molti dei dischi prodotti al tempo. Tornare con la mente a quegli anni è quindi normale e per certi versi salutare.
In Memoriam Of J.G. Ballard parte dal suono successivo ai Throbbing Gristle, quando ormai ogni strumento in comune col rock era finito in soffitta a favore di macchinari elettronici, che non avrei problemi a definire post-idustrial, se ciò non rischiasse di generare confusione con l’accozzaglia di rumori informi che oggi va per la maggiore. Qui invece troviamo nove brani che richiamano i suoni e le cadenze meccaniche di un macchinario, in cui i drone e le pulsazioni non hanno nulla di umano, e sfregiati da stridori e suoni campionati, sembrano rivelare quella che è il volto della realtà oltre il velo di rispettabilità, pulizia e buonsenso. Quasi ogni brano porta il titolo di un’opera di Ballard e ne traduce in musica le ambientazioni morbose, talvolta eccedendo in una ripetitività angosciante, al limite dell’autismo. Insomma, l’album è pesante, in tutti i sensi, similmente a molti dei racconti dello scrittore: prendere o lasciare. Il suo valore è tuttavia anche, se non prevalentemente, extramusicale e sta nel sapersi distinguere in un ambito in cui la ricerca dell’estremismo sonoro ha già da tempo raggiunto il punto di non ritorno e tende ormai a una stanca ripetizione. Forse è eccessivo definire In Memoriam… un’opera polemica, c’è il rischio di andare oltre a quelle che sono le reali intenzioni degli autori, ma di certo, coi suoi riferimenti letterari, si pone in contrapposizione con l’industrial autoreferenziale di oggi. L’industrial old school che ascoltiamo va quindi letto come scelta stilistica, che permette di riannodare quei lacci che facevano di questa musica un’avanguardia con delle idee, un retroterra culturale, una politica (per quanto confusa), lontana dal facile nichilismo che oggi sembra essere l’unico orizzonte possibile. Nota di merito per la grafica, che riproduce alcune opere dell’artista sardo Vins Grosso, perfettamente in tono sia con le atmosfere del disco, sia coi temi dell’uomo che lo ha ispirato.