AA.VV. – Quit Having Fun (Boring Machines, 2009)

Prima compilation per Boring Machines, e anche se non sono assolutamente un fan della raccolte in genere (per non parlare poi di quanto è impegnativo recensirle rispetto ad un disco “standard”), questi ventiquattro brani per due CDr non sono niente male; le sonorità spaziano attorno all’elettronica più o meno rumorosa e/o ambientale, con qualche accenno più rock o folk qua e là, attraverso la scelta di nomi italiani e stranieri sia noti che meno noti, per rendere un quadro abbastanza eterogeneo di musica che tenta quasi sempre di non essere banale e spesso ci riesce.
Una doppia raccolta che si presenta subito molto bene grazie alle grafiche di Luca Dipierro e Rachel Bradley, che in pratica si dividono lo spazio e si occupano di metà artwork per uno, ognuno infatti ha spazio per due facciate del digipak e per la grafica sopra ad un CD; altra carta a favore della raccolta è il mastering di Marutti, che pur lasciando ad ogni brano le proprie caratteristiche, rende il tutto ad un livello omogeneo e ciò aiuta molto nella fruibilità dei due dischi nel complesso. Ed è proprio Andrea Marutti a dare inizio alle danze (!?) con un drone addolcito da un pianoforte e da field recordings, uno dei pezzi più riusciti, per poi lasciare spazio a Frango da Lisbona (e in effetti in elettronica “altra” i portoghesi non sono niente male) e di seguito ad un paio di brani di discreta fattura che però letteralmente segano le gambe: l’inquetante e rumorosa Lament For D.N. dedicato da Inhibitionist a un suicida e la depressione della cantautrice “isolazionista” Annelies Monseré; il mood risale con il pezzo di Arbdesastr, con il suo glitch/shoegaze da paura, seguito da Wizards Tell Lies con uno dei brani più belli in assoluto, sospeso tra un inizio “ambientoso” e lo svolgimento più acido e rock… davvero da brividi! Le Reve Reveille si presenta con field recordings e un carillion che come dice il nome fa davvero sognare ad occhi aperti, mentre dalla Grecia arriva Lust, con nella presentazione addirittura una frase di aristotele e un field recording molto “musicale” ed elaborato; Philippe Petit elabora suoni con l’aiuto del suo giradischi per un pezzo pienamente nel suo “standard”, freddo e desolato, con tanto di coda rumorosa, mentre Sparkle In Grey condiscono il loro post-rock con suoni di Maurizio Bianchi e l’inedito accostamento dolce/amaro non è niente male! Genecyst prosegue nella commistione di elettronica “scura” e post-rock “cinematico e sognante”, mentre Kluge raffredda gli animi con una colata di rumore, come un vulcano che erutti medie frequenze… la fine del primo disco è lasciata invece a Rom:U, per un brano agrodolce di chitarra, laptop e field recordings, composto dal nostro Andrea Romualdo Ferraris probabilmente appollaiato su un albero da qualche parte nel basso piemonte. Nel secondo disco si parte con il pastiche di synth ad opera di Aerail Red, semplice ma sincero, per trovare poi Claudio Rocchetti in full effect alle prese con chitarra, voci ed oggetti con un pezzo che potrebbe uscire dal suo disco su Die Schachtel; Iris Garrelfs invece non mi convince con una cosa definita dalla mia dolce metà come “mosche e moschee”, ovvero una combinazione di nenie vocali e ronzio, gli sloveni Coma Stereo invece piazzano la loro vecchia Ghostly, una delle loro cose migliori: rock post ma non troppo, ambientale e tastieroso, con aggiunta di vocoder… nuovo nome per me invece gli Unknown Celebrities, che mescolando new wave e Kraftwerk se ne escono con un bel brano. Preceduto da Gultskra Artikler, che clonando Morricone inventa un’altra colonna sonora per Indagine Su Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto, purtroppo arriva Ben Reynolds, simpatico inglese fricchettone che tra lamenti e strimpellate di chitarra ci fa passare i sette minuti più lunghi della raccolta. A questo punto non può che farsi valere il nostrano Die Stadt Der Romantische Punks, ovvero Jukka Reverberi che, qui alle prese con lo spettro degli Hood di Rustic Houses Forlorn Valleys, rimescola registrazioni casalinghe nello stile dei fratelli Adams; su tutti svettano poi Black Forest/Black Sea che insegnano, se ce ne fosse ancora bisogno, che quando uno ha classe basta fare le cose semplici per ottenere risultati: lezione che Compression Of The Chest Cavity Mirade non hanno seguito nella scelta del nome della band, ci provano nel pezzo a base di due note due di chitarra, voce filtrata ed effetti ma gli manca la classe… i Telekaster mettono in loop chitarra e violino, ma il drone non convince fino in fondo: impressione che fa pure Erika M. Anderson, che improvvisa direttamente con voce e chitarra effettata un pezzo folk.
Insomma, nel disco ci sono parecchie cose interessanti: approfondite l’ascolto dei ventiquattro pezzi e troverete anche voi nuovi odi/amori.