2000 – 2010: non è successo niente?

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Ultimamente imperversa l'irritante campagna mediatica che accompagna l'uscita dell'ultimo libercolo del signor Simon Reynolds. Un critico, che nella musica di questi anni vede solo forme di sublimazione della nostalgia di un certo passato musicale. Pare che chiunque parli o pensi di musica ormai ragioni in termini di "ai miei tempi…", quindi la glorificazione di Reynolds appare quantomeno scontata e rivelatrice di un clamoroso deserto percettivo. Costui è uso sparare citazioni dotte per avvalorare le sue banalità, certo che facendo riferimenti a Fukuyama o a Debord si mette al sicuro da eventuali contraddittori, intanto chi legge di musica è incapace di fare le sue elaborazioni a riguardo. Il guaio è che in linea di massima è vero, soprattutto per buona parte dei critici e lettori italiani.
Eppure quando afferma che quest'ultimo decennio ha decretato la fine della musica, banalmente dimentica che Debord rilevava la fine dell'arte già negli anni '50. Reynolds individua nella facile disponibilità della musica attraverso la rete come uno dei fattori della sua perdita di significato, mentre, come vedremo più avanti, tutto ciò è uno dei motori fondanti della rivoluzione musicale di questi ultimi anni. Gli piacerebbe che fossimo tutti dei fan monotematici, dei comodi target per l'industria dello spettacolo.
Invece, contrariamente a quanto programmato, la polverizzazione della musica, dei metodi produttivi e della distribuzione ha creato un nuovo mondo che questo signore non è in grado di riconoscere perché usa sistemi di valutazione che non gli consentono di decifrare quello che ha sotto gli occhi (e le orecchie). Il poverino è, al massimo, in grado di ammirare Umbrella di Rihanna o Single Ladies di Beyoncé: due brani carini, per carità, ma ben poco significativi se parliamo di musica oggi (magari di sistema dominante e di monopoli, ma non di musica). Non capisco poi perché secondo lui la musica di questi anni "guarda indietro". Niente nasce dal niente, ed è sempre stato così. I nonesuccessoniente2Led Zeppelin e i Rolling Stones saccheggiavano il blues, Dylan il repertorio folk americano, i Velvet Underground partivano dal rock'n'roll, i Sex Pistols dagli Stooges, eccetera: ma nessuno ha pensato a tacciarli di essere retrò. Pare che invece utilizzare ispirazioni melodiche rubate al mainstream anni '80 per creare contesti stranianti e drogati lo sia. Evidentemente la disparità di valutazione deriva da una palese incapacità di riconoscere il nuovo.
A questo punto vorrei provare ad individuare che cosa effettivamente è successo in questi ultimi anni. Per arrivare a parlare di musica può essere utile partire da un punto di vista un po' più generale, visto che comunque la musica è un prodotto delle relazioni e delle tensioni sociali. In quest'ultima fase della società dello spettacolo la digitalizzazione dei rapporti sociali, finanziari e politici ha preso sempre più spazio, fino ad arrivare a modificare la nostra stessa organizzazione psichica e a sostituire le nostre strutture logiche con quelle dei suoi algoritmi, imponendo una serie modelli di personalizzazione del nostro io che, per quanto raffinati, non sono in grado di definire la nostra personale umanità, se non all'interno di schemi predefiniti dai tecnocrati e dagli "esperti" dell'attuale sistema dominante. La nuvola digitale però ha pur sempre dei limiti, in quanto è composta da micro-unità sempre individuabili e non scomponibili (l'uno e lo zero, il pixel…), e sarà sempre inadeguata al confronto con la realtà che pretende di sostituire. Realtà che mantiene sempre tutta la sua complessità da qualunque ordine di grandezza la si osservi e non è definibile su nessuna base statistica o di calcolo. Per portare a termine l'operazione, si ha quindi bisogno di agire direttamente sulle nostre capacità di percezione ed elaborazione mentale. E' più semplice rendere l'uomo un robot piuttosto che ingabbiare la realtà. Di contro, nonostante l'avanzamento di questa operazione di tentata meccanizzazione e desensibilizzazione dell'uomo, si è sviluppata una sacca creativa che ha sfruttato questi mezzi in un modo che non faceva parte dei piani, andando poi a recuperare tecniche obsolete o dimenticate, pescate da un bagaglio che non fa parte del catalogo delle splendenti e sempre nuove utlities pensate per noi. E qui arriviamo alla musica.
nonesuccessoniente3Una vasta comunità parcellizzata e poco controllabile ha reso disponibile tramite la rete una serie infinita di registrazioni provenienti da ogni parte del mondo e da ogni periodo temporale. Il consumo e la conoscenza di un tale patrimonio ha di fatto allargato a dismisura le conoscenze musicali di chi ha voluto approfittare dell'occasione, relativizzando gli sforzi targhettizzanti delle majors e di gran parte delle etichette "indipendenti". Mentre gli sforzi della grande industria si sono concentrati sulla valorizzazione a sfinimento dei soliti nomi storicizzati (non senza risultati), negli ambiti più sotterranei la scala dei valori percepiti è diventata molto più orizzontale, per cui la musica indonesiana prodotta nei '70 ha acquisito lo stesso valore di un Beefheart, anzi, magari risulta più interessante perché proviene da ambiti ancora poco esplorati e sfruttati. In particolare si è sviluppato un grande interesse verso tutte le musiche etniche, anche (e forse di più) quelle compromesse con fraintese influenze occidentali, i pionieri dell'elettronica, le musiche mainstream di cattivo gusto, il folk, le vecchie musiche da film, l'house più visionaria, il gotico e i recuperi proto-industriali, il kraut, i rips da 78 giri dimenticati, tutte le musiche "minori". E sicuramente mi dimentico parecchie altre robine. Le nuove musiche si sono quindi sviluppate a partire da nuove esperienze di ascolto che hanno stravolto le vecchie scale di valore e parlano il linguaggio del distacco dal sistema tecnocratico, di cui semmai usano le tecnologie con finalità opposte o deviate. La presa di distanza dal digitale si è sviluppata anche nell'utilizzo di strumentazioni diverse: nell'uso di strumenti autocostruiti (inizialmente nell'ambito del nuovo noise), del circuit bending, nel recupero di tecnologie preistoriche, di tutto l'analogico, delle strumentazioni antiche, tradizionali, artigianali o dimenticate. Lo stesso discorso vale per i supporti utilizzati, che svariano dalle cassette ai vhs ai vinili o quant'altro si renda recuperabile e riutilizzabile. L'immaginario di riferimento è estremamente caratteristico, ed è andato a pescare nelle sfere rimosse dal mondo contemporaneo: la morte, le religioni, la magia, il mistero in genere, il macabro, il rituale.
Il suono stesso è stato completamente stravolto. Sono state applicate tecniche di compressione estrema su produzioni sporchissime, facendo sì che i rumori di fondo diventassero parte integrante della musica, alcune registrazioni propongono il classico suono da cassetta nonesuccessoniente4pur uscendo su altri formati, l'effettistica è utilizzata in modo massiccio e straniante, e così il pitch; in altri ambiti (vedi certe nebbiose produzioni ipnagogiche) si è sviluppata una sorta di presa di distanza dal suono ottenuta concentrandosi sulle saturazioni delle frequenze medio alte. Hai voglia poi a dichiarare che certe cose sono retrò, provate a passarle alla radio o in un supermercato e l'effetto disagio è assicurato. Lo sviluppo stesso dei brani è andato sistematicamente fuori standard. Alcuni sembrano fatti con copia e incolla approssimativi e tagliati senza alcun senso logico. Altri giocano sulla reiterazione insistente e allucinata, altri ancora sull'abbozzo e l'incompletezza. Weird è una delle parole chiave: strano, ultraterreno, bizzarro, inquietante, fantasmatico, misterioso, raccapricciante. Assieme a tutto questo si è sviluppata una interessantissima controparte visiva. Da un lato è venuto alla luce un mondo di graphzine diy tirate in poche copie basate su disegni sgraziati, foto riciclate, macchie e scarabocchi, e dall'altro in un immaginario misterico-psichedelico fatto di boschi, foreste, maschere e mistero. Senza dimenticare il pop stravolto di Paper Rad e dintorni. Questa propensione verso la frammentarietà e l'imperfezione ha fatto alzare da più parti parecchie lamentele sulla mancanza di capolavori. Sarà. Ma di per sé il mercato che si soffoca da solo e questa superproduzione di musiche mostruose, abbacinate, deliranti, che vanno a carpire qualunque interstizio del senso e della conoscenza, è un capolavoro totale. In ogni caso, secondo me, di capolavori ce ne sono tantissimi, basta avere le orecchie per ascoltarli.

A questo punto mancano i nomi. Propongo arbitrariamente solo i primi due che mi vengono in mente, altrimenti dovrei fare un elenco infinito:
James Ferraro, che mi pare un po' il simbolo di questo modo operativo.
Dj Screw (che ci ha lasciati nel '95 ripieno di codeina) che è uno padri.