Paula Kelley - The Trouble With Success Or How You Fit Into The World (Kimchee, 2003)

Che destino l'indierock. Siamo tutti cresciuti innamorandoci di eteree signorine dedite ad uno shoegaze dove le vocine angeliche fungevano da tappeto tanto quanto altre che suonavano in gruppi di derivazione Pixies/punkeggiante e che tiravano fuori le unghie. Da buoni maschi contemporanei il nostro orecchio si soffermava sulla bontà o meno di una band solo in funzione della presenza o meno di signorine in formazione. Personalmente ho collezionato i singoli dei Lush, come quelli di Belly o Throwing Muses, solo per partito preso. Certo che il destino ti riserva sorprese. Avendo tutte abbondantemente girato la trentina d'anni, le cantantesse in questione, smessi i panni di modello generazionale, hanno tutte o quasi intrapreso carriere soliste. Le due più evidenti? La ex-Tsunami Jenny Toomey, che col suo splendido Tempting ha un po' dato la linea alla questione, e la qui analizzata Paula Kelley dei Drop Nineteens. Ammetto di aver seguito solo di sfuggita la carriera pre e post solista della giovane in questione ma è evidente come il trend sia unire l'american dream al femminile di Carole King con l'ironia del pop Bacharachiano con gli ultimi respiri dell'indiepop di provenienza. Come nel già citato Tempting, il pop di classe e raffinato in cui si butta la Kelley è piuttosto di maniera, splendido per mixtape e per ragazze che si fanno donne, meno splendente per omini cresciuti che vorrebbero trovare ancora quelle doti che avevano amato in passato. Il disco è piacevolissimo, citazionista negli ambienti creati come negli arrangiamenti di sfondo. Delicate ballate pennellate dalla lieve voce della cantante che disegnano il problema del successo, che probabilmente non è mai arrivato... Non so assolutamente quale sia la situazione delle college radio che avevano formato un paio di generazioni di giovani statunitensi - e, per simpatia, europei - ma non mi stupirei se lo standard delle trasmissioni ora fosse questo. Certo che quando il tiro si alza un minimo, come nella Beatles-goes-Bangles-goes-Belle And Sebastian che è My Finest Hour, il piacere è di nuovo sommo. Certo, non avrà le influenze finto-colte dei Calexico della Toomey, ma l'ascolto è gustoso e intelligente. Vedremo che fine farà.

aggiungi il tuo parere