Grandaddy - Under The Western Freeway (Will, 1997)

Uno dei dischi che ho ascoltato di più in assoluto: la perfetta fusione del Neil Young di Tonight's The Night e degli umori cantautorali dell'indie rock anni novanta (per fare due nomi Pavement e Flaming Lips); non accade spesso ad una band quasi esordiente di azzeccare tutto un album. La partenza è fenomenale: Nonphenomenal Lineage cantilena acustica che si conclude con una stralunata marcetta, A.M.180 melodia fulminante per chitarra e Bontempi (?), Summer Here Kids distorsione chitarristica da brividi, vero inno all'estate solitaria e casalinga ("Stay alone, put a record on, listen to the songs, keep yourself at home, summer here kids totally lies"), Laughing Stock dove Neil Young rinnega i dischi con i Pearl Jam e torna il poeta degli anni settanta. Ma il disco non finisce qui: ci sono ancora tra le altre lo strumentale strappalacrime che dà titolo al disco, Everything Beautiful Is Far Away storia di un uomo rimasto solo su un altro pianeta, Go Progress Chrome e Why Took Your Advice acustico e laconico messaggio in cui si scorge anche un pò di sana autoironia, mossa vincente che in verità pervade tutto il disco, dandogli un piglio lieve anche nel trattare argomenti poco allegri come solitudine e rabbia. I testi sono parte fondamentale del disco, come l'estetica giocosa della copertina di pongo e della foto del retro: tutti elementi che fanno di Under The Western Freeway un gioiello che speriamo abbia altri fortunati seguiti, in modo da confermare l'ottima opinione che i Grandaddy ci hanno portato ad avere di loro, grazie alle loro ottime canzoni.

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Grandaddy - The Sophtware Slump (V2, 2000)

L'apertura è una commovente esortazione al genere umano affinché non si arrenda alle macchine e al progresso tecnologico: un banjo elettronico (?) strimpella due accordi e poi un nuovo attacco: un vocoder filtra una voce che assomiglia a quella del Neil Young di Trans su cui va a stendersi un tappeto di effetti synth e spirali alla Electric Light Orchestra di Out Of The Blue. E' il suono Grandaddy, un'oasi di freschezza nel piattume generale dell'indie rock odierno.
I ragazzi di Modesto hanno fatto passi da gigante rispetto al loro già più che promettente esordio acquistando maturità nella scrittura e compattezza nel suono, un suono fatto proprio con quella old technology a cui si riferisce il tema trainante dell'opera. Tutto sembra essere incentrato su questa tematica dell'apocalisse tecnologica, della fobia di un uomo che abita un contesto computerizzato e di una natura che faticherà non poco a metabolizzarne le scorie. Nel libretto ci sono le foto di vecchi Mac sotterrati come fossero i fossili di un'antica civiltà estinta, vere e proprie "muffe della terra" di quella società dei computer che nel nome dell'evoluzione produce continuamente nuovi pezzi diventati già vecchi nel momento stesso in cui sono stati creati.
Jed The Humanoid ad esempio, uno dei pezzi più struggenti della raccolta, è la storia di un umanoide assemblato in cucina che finisce con l'essere trascurato e accantonato dai suoi stessi creatori per far spazio a nuovi prototipi più evoluti di lui.
La melodia del ritornello di Hewlett's Daughter, il pianoforte di Underneath The Weeping Willow (una ballata degna dei migliori episodi di After The Goldrush) e il finale commovente (sul serio) di So You'll Aim Toward The Sky sono soltanto alcuni dei tanti climax emozionali raggiunti dal disco.
Una foto raffigura un uomo solitario al crepuscolo che cammina con uno Stetson in testa e un sintetizzatore in mano: è il cowboy del 2000 sperduto tra i residuati tecnologici della Silicon Valley, l'ultimo baluardo di umanità contro l'era del cyber.
I Grandaddy sono almeno un paio di spanne sopra gli altri. Nessun altro oggi possiede le loro melodie.
Grandissimi.

Condivido l'accostamento a Electric Light Orchestra, ma ritengo che il punto
di contatto più evidente sia con l'album Time (misconosciuto capolavoro del
1981, non a caso tra i preferiti in assoluto di Jason Lytle), verso il quale
The Sophtware Slump è profondamente debitore (vi è persino un campionamento,
a ben ascoltare).
Andrea Vitali

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Grandaddy - Sumday (V2, 2003)

Spesso il giudizio sul "fatidico terzo album" di una band è quasi sempre impietoso, ne hanno fatto le spese pure i nonnini. Ad alcuni tutte quelle strambe tastiere dopo un po' possono risultare indigeste, ma per quelli come me che si sono letteralmente invaghiti del sound della band di Modesto e della loro attitudine indolente e sincera questo Sumday rappresenta una nuova entusiasmante conferma, che consolida il percorso tracciato dai due precedenti capolavori aprendo un nuovo e non meno interessante corso pop. Sono tornati, sono sempre loro. Solo i Grandaddy possono permettersi di ringraziare chi compra la loro musica e chi va ai loro concerti senza sembrare nemmeno un pochino patetici o ruffiani. Solo a loro può venire in mente di raccontare nella magica melodia pop di The Group Who Could’t Say la favoletta dei brokers che fanno la gita fuori porta in mezzo alla natura, senza risultare banali. E soprattutto: solo loro hanno ancora in serbo tante e tante canzoni con una vena melodica più unica che rara. Come successe per i Pavement, questa band piano piano sta influenzando molti gruppi che si affacciano tanto sulla scena indie quanto sul grande mercato (penso ai The Thrills). Forse in quanto a bruttezza (ma anche le altre non scherzavano) la copertina di Sumday non ha paragoni. Anzi, è talmente brutta da apparire bella, non so come spiegarlo. Now It's On parte subito indovinando una micidiale quanto elementare melodia che mette di buon umore per una settimana intera. E ve lo dico visto che è stato il primo pezzo che ho messo nel lettore a tutto volume appena passato l'esame di procedura civile. La batteria che salta volutamente il colpo in un paio di punti, poi, è devastante. I'm On Standby ci riporta verso le atmosfere più melliflue del gruppo, così come la successiva Go In The Go For It, condita da gustosi coretti. Nella coda dilatata di Lost On Yer Merry Way, Lytle canta "All that i'm askin' tonight is that I make it back home... I wanna get back home tonight" appena prima della perla pop El Caminos In The West. La voce di Lytle è come sempre ispiratissima e nel brano Yeah Is What We Had dà il meglio di sé rasentando il falsetto. Toccante anche la melodia per piano e voce di Saddest Vacant Lot In All The World, mentre la banalissima e ripetuta linea di tastiera in andata-ritorno di Stray Dog And The Chocolate Shake si evolve in uno dei brani migliori del disco. Facile? Sì, però lasciate sviluppare la stessa canzone ad un altro gruppo e vedrete che pastrocchio ne viene fuori. O.K. With My Decay, The Warming Sun e The Final Push To The Sum si muovono in ambito di (stra)ordinaria amministrazione, rimandando a quella interminabile chiusura che caratterizzava Lawn & So On presente nell'esordio. Tutti gli ingredienti di quest'album rasentano il cattivo gusto, ma, al solito, plasmati magicamente come solo i Grandaddy sanno fare, raggiungono quello stile unico che tutti ormai conosciamo. Grandi intuizioni uguale grandi canzoni: il passaggio è diretto. Questa volta magari i brani sono un pelo più smussati nelle angolature. Raccomandatissimo, fosse solo per avere per tutta l'estate una manciata di ritornelli da cantare in doccia. Consiglio: ascoltatelo in cuffia, apprezzerete il doppio.

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Penso proprio che questo disco rimarrà nella storia è il disco dell'anno 
(assieme ai Locust) mi è piaciuto tantissimo, è il loro lavoro migliore
Amedeo