Fuck - Those Are Not My Bongos (Homesleep, 2003)

Mi sembra che i californiani Fuck siano un gruppo ampiamente sottovalutato o quantomeno preso in poca considerazione nell'indie rock. Le ragioni sono le più diverse: sarà per il nome, fuorviante e improponibile in qualsiasi radio di un college americano; sarà per la loro attitudine svogliata, che li portava ad scrivere brani bellissimi della durata di un minuto e mezzo, alternati a divagazioni spesso inutili; sarà perché troppo spesso ed erroneamente sono stati considerati dei cloni dei Pavement: buoni mestieranti, ma nulla più. Dopo aver più volte reso tributo all'Italia in tempi non sospetti (una delle loro migliori canzoni, Italy appunto, è contenuta nell'album Conduct del 1998: una sorta di bigino dell'indie, allora sotto l'etichetta Matador), i Fuck sono diventati amici dei nostrani Yuppie Flu e hanno cominciato ad incidere per Homesleep. Those Are Not My Bongos è un disco bellissimo, il più omogeneo e coeso per un gruppo tanto altalenante quanto versatile (per inciso, sono persino riusciti a rendere ascoltabile una canzone di Britney Spears...). Questa volta l'andamento si fa più malinconico, o se volete - per usare un'etichetta a tutti i costi - sadcore. Dopo un inizio di breve durata all'insegna del divertissement (Motherfuckeroos, quasi un pezzo dei Plush, No Longer seguita da Whistler's Dream Date, Firing Squad e Jazz Idiodyssey, omaggio ai Weather Report quanto al post rock) i giochi finiscono con Her Plastic Acupunture Foot, brano acustico registrato in casa sul sofà: non voglio perdermi in elogi, ma se l'avessero scritto gli Sparklehorse si griderebbe all'ennesimo miracolo. La successiva Vegas commuove al pari del primo (e migliore) Pedro The Lion. La voce di Timmy Prudhomme è tra le migliori mai sentite nell'ambito indie, raggiungendo un'intensità degna di Mark Linkous o Davis Bazan. Hulk Baby, A Conversation o Nowhen, Or Now, Hen sono ballate elettro-acustiche dalla cadenza lenta e struggente. Qualche chitarrina satura in Hideout e la marcetta minimalista di Table sono prefettamente il linea con il mood del disco, che raggiunge il suo apice con Good Eavnin', uno strumentale acustico sulla scia del post-folk dei Pullman. Chiude il tutto The Sandy Man's Name Is Not "Sandy", un lento inno al riposo ed al letto.
Risultato: qui dentro mi ci perdo.

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