Elliott - False Cathedrals (Revelation, 2000)

Dalle ceneri dei Falling Forward, da Louisville, si formarono un po' di anni fa gli Elliott, che esordirono con un 7" e con un CD nel 1998, U.S. Songs, che, a dire il vero, non mi entusiasmò più di tanto. Dopo un po' di mesi passati in tour, i ragazzi si sono chiusi in uno studio di registrazione "autoprodotto", cioè semplicemente un vecchio magazzino da loro ristrutturato ed hanno cominciato a buttare giù pezzi, che appariranno in compilation e singoli. Alla fine del del '99 si chiudono in studio per ideare questo nuovo disco, che verrà poi realizzato in Los Angeles con l'aiuto di Toby Miller, che in passato al lavoro con artisti mainstream del calibro di Korn, Wallflowers e Fiona Apple. E una sorta di "pulizia" quasi-da-major si sente. Gli Elliott qui abbandonano tutte le radici post-hc per un suono che non è tanto diverso da quello fm di uno Springsteen depresso. E non è un male, anzi. E qui l'etichetta di "emo" finalmente non ha veramente più senso, visto che la malinconia di pezzi come Calm Americans o Drive On To Me (un capolavoro. Non credo che la band riuscirà mai più a realizzare una canzone così) sembra nascere dalla disperazione e non più da dei canoni musicali di accordi dissonanti e voce piagnona/strascicata. Mai Chris Higdon ha cantato così. Se in passato poteva sembrare una lagna (non nei Falling Forward, comunque, sia chiaro), adesso la sua voce è semplicemente uno strumento usato per raccontarci storie di amore e tristezza. E se al primo ascolto l'ho trovato un po' noioso, dopo un po' di tempo non riesco a farne a meno. Per quanto mi riguarda, questo è uno di quei dischi che mi rimarranno in fondo al cuoricino per un sacco di tempo…

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Elliott - Song In The Air (Revelation, 2003)

False Cathedrals, dopo l'entusiasmo iniziale, improvvisamente si ritrovò a prendere polvere sugli scaffali: non era affatto un brutto disco, ben suonato, ben prodotto (pure troppo), bei pezzi, molto "radiofonici", ma alla fine un po' insipido. E soprattutto cominciavo, lentamente, ad accusare la (pur bella) voce di Chris Higdon. Dopo un paio di tour i quattro di Louisville (con bassista e chitarrista nuovi, più Christian Frederickson dei Rachel's come ospite) si chiudono ancora una volta in studio, inizialmente con l'intenzione di registrare un EP. Ma, evidentemente, le idee hanno continuato a crescere e ci troviamo tra le mani questo loro terzo disco. Ogni traccia di hardcore (quella che segnava i Falling Forward, per intenderci) è sparita, i pezzi si sono fatti più lunghi e dilatati (sembra che i ragazzi abbiano svaligiato una fabbrica di delay), più ariosi, tanto da ricordare in più passaggi gli Appleseed Cast. E la voce di Higdon questa volta non stanca più di tanto sui tappeti che tessono le chitarre, ma la assecondano e quasi la esaltano (certo, se solo si piangesse un po' meno addosso...). Ottimi i (non rari, grazie al cielo) passaggi strumentali. "Shoegazer-emo", se volete, raffinato e curato. Bisognerà aspettare novembre per apprezzarlo in pieno, però. Un buon disco, a piccole dosi.

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