The Cure - Bloodflowers (Fiction, 2000)

Preceduto dalle ormai solite voci sul prossimo scioglimento del gruppo, il giorno di San Valentino del duemila è uscito l'ennesimo disco dei Cure; dopo album come Wish e Wild Moon Swings, le aspettative non erano certo le migliori, ma Robert Smith ha ritrovato almeno un pò dello smalto del passato. Troppo lontano ormai il loro primo periodo (il migliore, con il trittico Three Imaginary Boys, Seventeen Seconds e Faith), le maggiori affinità sono con l'unico altro disco eccellente dato alle stampe dai Cure: Disintegration. Affinità soprattutto nelle sonorità e nell'atmosfera, non troppo pesanti in verità, infatti Bloodflowers per alcuni momenti vive anche di vita propria, come si nota subito dall'iniziale Out Of This World, una sorta di Cure notturni ma trasferitisi alle Hawaii (provare per credere), con chitarre e tastierine che gorgheggiano per oltre sei minuti. Giocatisi subito la carta migliore, la partita dei Cure per riconquistare i vecchi fans continua con pezzi come Watching Me Fall, Where The Birds Always Sing e Maybe Someday, brani che colpiscono nel segno, ricordando che Smith e soci sono maestri nell'arte del comporre. La seconda metà del disco (tranne la notevole There Is No If) si fa meno scorrevole, anche perchè le atmosfere malinconiche si fanno meno intriganti: tra i dischi dei Cure del periodo di mezzo il solo Disintegration, anch'esso monolitico e monotono dall'inizio alla fine, non fa cedere l'ascoltatore, ma si sa, i masterpiece sono difficilmente ripetibili.
Tirando le somme, Bloodflowers è un disco buono, con una metà dei pezzi di qualità, che non fanno troppo rimpiangere il passato; a questo punto resta come sempre l'interrogativo sul futuro: certo è che è difficile proseguire il proprio cammino artistico dopo vent'anni di dischi, specialmente se di questo spessore.

E' inutile tentere di sviluppare un parere su questo bel disco
volendolo a tutti i costi accomunare a lavori del passato dove
ovviamnete quello che risalta e' soprattutto la spontaneita' e
l'energia di un gruppo "in crescita"...In questo bloodflowers
bisogna secondo me focalizzare l'attenzione sul pensiero di
chi l'ha scritto...e cioe' di una persona giunta ad uno stato di
maturita' tale da guardarsi indietro riflettere ed esprimere le sue
paure sul futuro e sulla morte...senza analizzare le canzoni
una ad una, un ottimo lavoro di una band o meglio di un personaggio
storico che continua a stupirci per le sue qualita' compositive
molto al di sopra di qualsiasi musicista attuale...
Carmine

Album come seventeen seconds sono ovviamente irripetibili e unici,
cmq dopo aver ascoltato tutta la produzione che va dalla metą degli
anni ottanta a quella degli anni novanta, se si eccettua un ottimo
disco come disintegration, ed esserne rimasto abbastanza schifato
bloodflowers č un album che restituisce dignitą ad un gruppo che
pareva essersi fossilizzato su qualche singolo decente e album vacui
e inutili; Complimenti a Robert Smith per aver trovato qualcosa di
buono in fondo ad un cilindro che sembrava avesse esaurito il suo
contenuto.
Paolo

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