Archers Of Loaf - Vee Vee (Alias, 1995)

Ecco un'altra piccola grande formazione oggi scomparsa: quattro giovani americani da Chapel Hill (North Carolina) che hanno saputo giocare con l'indie rock con incredibile estro e sicurezza, energia e creatività. Ne è la prova questo album, il secondo dopo il già acclamato esordio Icky Mettle del 1993. Tanti, troppi sono stati i nomi tirati in ballo dalla critica nel tentativo di descrivere il loro suono, partendo dai Fall per arrivare ai Polvo; le influenze più evidenti di Sonic Youth, Sebadoh e Pavement non possono comunque oscurare l'intelligenza e l'originalità di una musica forte, di sicuro impatto emotivo, che sa essere estremamente melodica ed elaborata seppur apparentemente grezza: ci sono chitarre sghembe, cigolanti e distorte, ed una voce roca e sgraziata che sa di punk n'roll, spesso affiancata simultaneamente da altre, con begli effetti; ma ci sono anche e soprattutto, al di là dello stile musicale, un'attitudine e delle liriche particolarmente intelligenti, supportate da mirabili intuizioni melodiche ("mind-blowing awkward harmonies" - News Tribune) ed innegabili lampi di genio creativo. Se l'iniziale Step Into The Light, lenta, sbilenca e svogliata, sembra provare solo (oltre alla derivazione Pavement) che i quattro non abbiano la minima intenzione di realizzare il disco, basta attendere Harnessed In Slums per essere travolti da una carica, un'energia e una sapienza melodica irrefrenabili; le stesse che rendono grande Underdogs Of Nipomo e Fabricoh (che può ricordare l'impeto dei Superchunk), e che divengono brutali nella fulminea Nostalgia. Floating Friends è invece più quieta ma conserva melodie chitarristiche ed un'intensità non da poco (specie nel finale, che si vorrebbe far scorrere all'infinito ed invece si spegne lentamente...); mentre assolutamente unica (li si potrebbe riconoscere tra milioni) è la fantasia utilizzata in brani quali Let The Loser Melt o Death In The Park, piena di amarezza, disillusione e cinismo. Ma la vera perla del disco si chiama Greatest Of All Time, attacco - di nuovo ironico e spietatamente cinico - all'altrettanto spietata industria musicale: vi si narra la storia del leader della "peggiore band esistente al mondo" (eliminato venendo gettato in un fiume!), che ha il suo culmine nella triste, lamentosa ma in fondo veritiera constatazione "the underground is overcrowded".
Gli Archers Of Loaf non sono passati alla storia, ma hanno senz'altro scritto "un gran bel paragrafo del romanzo del rock underground USA degli anni '90" (Dynamo!), riuscendo a raggiungere il loro scopo dichiarato ("it's more important to be distinctive than original"): risultare particolari e, pertanto, unici.

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